Licenziamento collettivo: criteri di licenziamento in caso di esubero del personale

Ogni azienda può trovarsi in momenti di difficoltà e vedersi costretta a un licenziamento collettivo. Si tratta di un’eventualità che non piace a nessuna delle parti: il datore di lavoro si vede costretto a separarsi da alcuni dei suoi dipendenti e questi si preoccupano per il proprio futuro improvvisamente incerto. A regolamentare queste situazioni estremamente delicate ci ha pensato il legislatore che ha stabilito dei criteri di scelta per i licenziamenti collettivi, ritenendo che determinati fattori “sociali” giochino un ruolo di rilievo non secondario ai fini della ricerca di un nuovo impiego.

In quanto datore di lavoro dovete dunque assicurarvi che la selezione dei dipendenti che perderanno il proprio posto di lavoro avvenga secondo criteri stabiliti, così da evitare licenziamenti mirati di lavoratori, magari solo perché sgraditi.

Crisi aziendale: licenziamento per esubero

Prima di spiegare quali siano i criteri prestabiliti per l’individuazione dei soggetti da mettere in mobilità, è necessario chiarire le condizioni entro le quali avvengono i licenziamenti collettivi.

Alla base della scelta di un licenziamento collettivo ci sono motivazioni di carattere economico, quali la trasformazione o la riduzione della propria attività imprenditoriale, sia fattori interni, come scelte errate e non fruttuose, che esterni, come crisi economiche di larga portata. A queste possibilità si aggiunge poi la riduzione del costo del lavoro.

I licenziamenti collettivi hanno un limite di 5 dipendenti nell’arco di 120 giorni, dirigenti inclusi. Il primo elemento da considerare è la grandezza dell’azienda: mentre le imprese con un massimo di 15 dipendenti vantano una maggiore libertà d’azione e possono trattare i licenziamenti plurimi come fossero licenziamenti individuali, quelle con più di 15 lavoratori hanno l’obbligo di seguire un iter prestabilito. Per prima cosa devono comunicare ai sindacati, per mezzo di una lettera di preavviso, la volontà di intraprendere un licenziamento collettivo. Questa lettera dà il via agli incontri tra datore di lavoro e sindacati, che con un accordo sindacale hanno il dovere di stabilire quelle che sono le condizioni e i criteri meno dolorosi per mettere i dipendenti in mobilità, garantendo continuità a quelli con situazioni personali/familiari più delicate.

Licenziamento collettivo: i criteri di scelta

A limitare l’assoluta libertà del datore di lavoro a selezionare i dipendenti da licenziare in base alle proprie preferenze intervengono già gli articoli 2, 3 e 41 della Costituzione Italiana che prevedono una tutela speciale per i lavoratori socialmente più deboli. Dopodiché la legge di riferimento per i licenziamenti collettivi, anche detti procedura di mobilità, è la legge n. 223 del 23 luglio 1991 che stabilisce la consultazione con i sindacati per l’individuazione dei criteri utili alla selezione del personale soggetto alla messa in mobilità, ossia al licenziamento.

I principali criteri che vengono utilizzati in queste situazioni sono due: i carichi familiari e l’età.

Carichi familiari

Nell’ottica sociale il dipendente che ha moglie e/o figli a carico merita un trattamento di riguardo rispetto a chi è single e non ha prole e che quindi deve pensare solo per la propria sussistenza. Il nucleo familiare gioca quindi un ruolo di primordine nel determinare se un dipendete possa essere selezionato per la mobilità o meno. Dunque, un nucleo familiare più numeroso, così come situazioni gravose relative agli altri membri della famiglia, possono essere un fattore decisivo nella selezione del dipendente da licenziare.

Età anagrafica

Il secondo criterio è quello dell’età, poiché si ritiene che un lavoratore che abbia raggiunto una certa età e non sia però maturo per il pensionamento abbia maggiore difficoltà a trovare un nuovo impiego o a intraprendere un percorso di formazione specializzata che possa aprirgli nuove porte professionali. Un lavoratore giovane sarà quindi ritenuto più flessibile e la sua messa in mobilità ritenuta non così gravosa come quella di un collega più attempato. L’età va quindi intesa come anagrafica e non come anzianità di servizio presso la data azienda, nonostante anche questo fattore possa rientrare nel calcolo selettivo.

Errori nella procedura di licenziamento collettivo

I sindacati servono come organo di controllo delle procedure di licenziamento collettivo, assicurandosi che tutti gli obblighi formali vengano rispettati e i criteri osservati. Qualora però, il dipendente licenziato dovesse continuare ad avere motivi di dubitare della correttezza e dell’oggettività dei criteri di scelta determinati nell’accordo sindacale, ha il diritto di impugnare il licenziamento. Il termine utile per farlo è di 270 giorni. Se non viene trovato un accordo tra le due parti, rimane la possibilità di rivalersi rivolgendosi al giudice.

È importante sapere, però, che questi altro non farà che verificare la correttezza formale della procedura di mobilità, controllando perciò la corretta esecuzione dei vari passaggi e l’applicazione dei criteri di licenziamento. Cosa significa questo? Che il giudice non procederà al controllo delle motivazioni che hanno portato al licenziamento collettivo, poiché all’imprenditore è assicurata una certa libertà d’azione per quel che riguarda la propria attività imprenditoriale.

Nel caso però che il dipendente vittima di un ingiusto licenziamento dovesse avere ragione, allora avrà diritto a un risarcimento danni, calcolato sull’anzianità di servizio, nonché al reintegro del posto di lavoro, nel caso in cui ne abbia diritto.

Vi preghiamo di osservare la nota legale relativa a questo articolo.

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