Aprire la partita IVA di per sé non costa nulla. Sono i successivi costi di gestione a pesare sul portafoglio di chi la apre: per iscrivere la propria impresa alla Camera di Commercio, ad esempio, occorrerà pagare una quota che può raggiungere fino a 120 euro all’anno, alla quale vanno ad aggiungersi i costi di un commercialista, i contributi INPS e INAIL, le imposte e via discorrendo.
A fare la differenza per quel che riguarda i costi da sostenere e i requisiti da soddisfare per l’apertura e il mantenimento della partita IVA, è necessario specificare che ne esistono due tipologie: il regime contabile ordinario e quello forfettario. Quest’ultimo, introdotto con la legge di stabilità 2015 e successivamente modificato, sostituisce i precedenti regimi agevolati.
Il regime forfettario è indicato per chi ha avviato o sta per avviare un’attività che ha un giro d’affari piuttosto ridotto, sia in termini di ricavi che di spese. Per poter usufruire del regime forfettario esistono infatti dei valori di soglia sia per i ricavi (soglie che si differenziano a seconda del codice Ateco dell’attività svolta), sia per le spese sostenute e il costo complessivo dei beni strumentali. Il regime forfettario va a sostituire il regime dei minimi, a cui assomiglia molto, garantendo una tassazione agevolata e numerosi altri benefici, senza tuttavia sottostare, a differenza del proprio predecessore, a limiti temporali: infatti può essere mantenuto finché sussistono i requisiti.