Time tracking – a che cosa bisogna prestare attenzione

Documentare gli orari di lavoro è una scelta sensata sia per i datori di lavoro che per i dipendenti. Ciononostante, questo crea spesso grattacapi a entrambe le parti, in quanto si finisce per addentrarsi in delle vere e proprie zone grigie della normativa vigente. Infatti, il sistema italiano non detta uno schema preciso sulla gestione del time tracking e degli strumenti di controllo dei lavoratori in generale.

Per questo motivo bisogna prestare particolare attenzione e pensarci due volte prima di introdurre in azienda strumenti o pratiche che rischiano di scontrarsi con quanto stabilito nello Statuto dei lavoratori e che non siano stati pensati con un occhio di riguardo al trattamento dei dati personali.

Definizione di time tracking

Una definizione vera e propria del time tracking non viene fornita dalla legge italiana. Tuttavia, per time tracking si intende la registrazione del tempo di lavoro e il monitoraggio dei dipendenti che ne consegue. Si tratta di un importante strumento di controllo che rientra nella più ampia categoria del time management (o gestione del tempo), ossia un processo che oltre al controllo prevede anche la pianificazione dell’utilizzo del tempo e che è finalizzato all’aumento dell’efficienza dei propri dipendenti.

Time tracking analogico e digitale

La forma convenzionale di time tracking, forse ancora oggi più adoperata in Italia, è quella stazionaria. Per time tracking stazionario s’intende infatti l’atto di registrarsi da parte dei singoli lavoratori al momento di inizio e fine del proprio orario di lavoro e della pausa pranzo. Per fare ciò viene spesso utilizzato un apposito badge o effettuando l’accesso presso la propria postazione di lavoro. Questa tipologia di time tracking non fa altro però che monitorare la presenza del dipendente in ufficio o sul luogo di lavoro e non come questo impiega il suo tempo.

Le alternative possono essere varie. C’è chi continua altresì a prediligere il metodo analogico, ossia segnare i propri orari di lavoro con carta e penna o, al contrario, metodi più al passo con i tempi del mercato del lavoro in continua evoluzione, quali metodi digitali con integrati al loro interno vari processi di identificazione univoca.

Consiglio

Se si decide di optare per un’app per il controllo dei dipendenti, vi consigliamo di leggere il nostro articolo a riguardo.

Proprio le esigenze del mercato del lavoro odierno, in parte sempre più flessibile e slegato alla presenza fisica del dipendente sul luogo di lavoro, fanno sì che la tendenza sia quella di richiedere una compilazione degli orari di lavoro, sempre più dettagliata e precisa. Un time tracking insomma, che non si limiti agli orari di inizio e fine turno e alle pause (anche di breve durata), ma che riporti descritte anche le attività svolte durante l’orario lavorativo.

Quando questo accade, non sempre è però facile indicare il confine tra lecito e non. Proprio questa è la sfida di oggigiorno: riuscire a trovare il giusto compromesso e integrare un controllo dei dipendenti a prova di legge e che riesca di fatto ad aumentare la produttività dei lavoratori.

Time tracking e normativa italiana

Come anticipato, la normativa italiana non è esattamente aggiornata a questo proposito e non fornisce indicazioni precise. Questo fa sì che si creino delle zone d’ombra all’interno delle quali i primi a rimetterci sono spesso i dipendenti, spesso ignari dei propri diritti e doveri, ma che possono risultare molto pericolose anche per gli imprenditori, qualora dovessero varcare la soglia del consentito.

L’intera pratica del time management, di cui il time tracking fa parte, dovrebbe solamente servire allo scopo di promuovere l’efficienza all’interno dell’azienda. Tuttavia, la sua messa in pratica ha spesso dei risvolti psicologici non sempre facili da valutare. Per questo motivo, è importante che prima di intraprendere misure finalizzate a migliorare l’efficienza dei propri dipendenti, si consultino professionisti riconosciuti ed esperti, che facciano luce sui pro e i contro dei vari strumenti di controllo, evitando così di peggiorare le condizioni di lavoro per i dipendenti o di infrangere le leggi che tutelano i loro diritti e perciò la loro privacy.

Articolo 4 dello Statuto dei lavoratori

Per decenni a dettare le condizioni per il controllo dei dipendenti è stato lo Statuto dei lavoratori (nello specifico l’articolo 4), il cui scopo è quello di sancire i diritti dei lavoratori in materia di riservatezza, dignità personale, libertà di espressione e di comunicazione. Tali inviolabili diritti servono infatti da argine alla libertà di iniziativa economica garantita dall’articolo 41 della Costituzione all’imprenditore.

Citazione

Articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, “Impianti audiovisivi”:

1. È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.

2. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti.

3. Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l'Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, dettando all'occorrenza le prescrizioni per l'adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti.

4. Contro i provvedimenti dell'Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.

Il Jobs Act: le modifiche all’Articolo 4

Con l’avanzare del progresso tecnologico e della sua integrazione all’interno del processo produttivo delle imprese italiane, nel 2015 si è deciso di apportare una modifica all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori anche in riferimento alle mutate esigenze produttive e organizzative.

Il Jobs Act, ossia il D. Lgs. 151/2015, ha dunque riscritto l’articolo sopracitato introducendo un distinguo tra gli strumenti di lavoro, quali pc, laptop, tablet, smartphone, ecc.; e gli strumenti che consentano un controllo del lavoratore, ad esempio quelli di videosorveglianza.

Se prima era vietato qualsiasi utilizzo di impianti audiovisivi e apparecchi che consentivano il controllo a distanza, ora tale divieto viene meno qualora si verifichino esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale. Contemporaneamente è necessario però che venga sottoscritto un accordo sindacale (RSA e RSU, o sindacati nazionali per grandi imprese con più sedi dislocate sul territorio) o, in alternativa, aver ricevuto l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.

Questo discorso non vale per i badge e gli orologi-marcatempo, ossia quegli strumenti di controllo che servono a registrare accessi e presenza (comma 2 dell’articolo). L’ultimo comma dell’articolo riformulato è anche esso di grande importanza. Stabilisce infatti che i dati e le informazioni raccolte con il controllo a distanza e con gli apparecchi forniti dal datore di lavoro, possono essere utilizzati solo per fini strettamente connessi al rapporto di lavoro e a patto che i dipendenti siano stati accuratamente informati sul controllo effettuato e sulle relative modalità.

Citazione

La versione aggiornata dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori:

1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi.

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Articolo 8 dello Statuto dei lavoratori

Inoltre, esercitando un controllo prolungato e non strettamente legato all’attività lavorativa si rischia anche di violare un ulteriore articolo, l’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori. Questo articolo stabilisce infatti il divieto di effettuare indagini su quelle che sono le opinioni politiche, religiose e sindacali dei dipendenti, così come su tutto ciò che non è legato all’attività lavorativa. Dunque, il raccoglimento, anche involontario e indiretto, di tali dati e informazioni comporta di per sé una violazione della privacy del lavoratore e quindi dei suoi diritti.

Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati

In data 25 maggio 2018 è entrato in vigore il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (RGPD). Questo regolamento vuole rappresentare un baluardo in difesa della sfera privata dei singoli cittadini europei e dei residenti all’interno dell’Unione Europea, sostituendo e uniformando le varie normative dei singoli paesi. Indipendentemente dunque dal modello di time tracking che si decide di introdurre all’interno della propria azienda, è essenziale che i dati e le informazioni personali raccolti, siano sempre conformi a quanto previsto dal RGPD.

Consiglio

Per meglio comprendere quali innovazioni l’introduzione del regolamento abbia portato per le aziende, come ad esempio la figura del responsabile della protezione dati, vi invitiamo a leggere il nostro articolo a proposito.

Vi preghiamo di osservare la nota legale relativa a questo articolo.

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