Emotional branding

A cosa pensate se vi diciamo Coca Cola? E cosa vi accade se pronunciamo i nomi McDonald’s, Apple, Fiat o Tesla? Immaginate i prodotti davanti ai vostri occhi? Una bella bottiglia di vetro ghiacciata in estate. Un'automobile futurista al cento per cento. Uno smartphone luccicante, elegante come un gioiello. Ma perché si concretizzano le immagini davanti ai nostri occhi solo se sentiamo il nome di un marchio? La risposta si chiama emotional branding.

Emotional branding: definizione

L’origine del termine inglese “branding” proviene dal ferro bollente con cui gli allevatori marchiavano a fuoco i propri animali. Nel marketing, invece, il branding è collegato alla creazione di un marchio associato a emozioni forti. Nel caso dell’emotional branding, è arricchito da emozioni forti proprio per restare impresso a lungo nella memoria dei clienti.

L’emotional branding deve dunque creare un rapporto duraturo ed emotivo tra marchio e cliente. In un contesto emotivo, potrete costruire un rapporto di fiducia e fedeltà con il cliente e incrementare la portata e il valore del vostro marchio. Questo perché il modo migliore per fidelizzare i clienti non è attraverso motivi oggettivi, ma attraverso i sentimenti. O per usare termini più specifici: le emozioni. Rispetto ai sentimenti, infatti, le emozioni si innescano prima che ce ne rendiamo conto. Nascono nel sistema limbico, una parte antica del nostro cervello responsabile della nostra coscienza.

Marc Gobé con il suo libro “The New Paradigm for Connecting Brands to People” (2001) è considerato il fondatore del marketing emozionale. Secondo Gobé, comprendere il cervello umano e i comportamenti culturali è molto più importante di qualsiasi teoria economica, perché con i soldi non si compra l’amore, ma con un marchio forte si possono sedurre i clienti. È proprio qui che devono risiedere i rapporti tra clienti e marchio: nei legami emotivi basati su fiducia, lealtà e rispetto.

Un emotional branding forte tocca direttamente i desideri, le speranze, le paure e i bisogni e dà l’impressione che il marchio stia proprio dalla parte giusta. Il potenziale d’identificazione emotiva di un marchio svolge un ruolo decisivo e per questo bisogna prendere in considerazione diversi fattori tra cui design, psicologia cromatica, considerazioni morali, interesse politico e generale e marketing emotivo.

Emotional branding vs emotional marketing

Quando si parla di emotional branding, emerge anche il concetto di emotional marketing. Ma l’emotional branding e l’emotional marketing non si possono mettere sullo stesso piano perché si differenziano prima di tutto nelle loro priorità.

Il marketing emozionale si applica soprattutto per film, concerti, partiti politici, automobili e mete turistiche. È una forma pubblicitaria con diversi strumenti a disposizione per una campagna di marketing basata sulle emozioni. Potete caricare di valore emotivo e diffondere i vostri prodotti o messaggi attraverso colori, musica, guerilla marketing, influencer marketing o campagne virali sui social network. Ma dietro tutto ciò non deve celarsi necessariamente un marchio o un prodotto. Basti pensare alle organizzazioni benefiche che vogliono attirare l'attenzione su disservizi sociali o ambientali.

Il marketing emotivo, dunque, funziona indipendentemente da un marchio che lo sostiene, mentre l’emotional branding ha lo scopo di ancorare un marchio alla coscienza e alla vita delle persone attraverso un’influenza emotiva e creare un rapporto duraturo con i clienti.

Consiglio

L’emotional branding va quasi sempre a braccetto con il marketing online. Avere un proprio sito è una parte fondamentale del Brand Building. IONOS mette a disposizione un pratico strumento pronto all’uso per progetti web piccoli e grandi.Aumentate la visibilità del vostro sito web e mettete in gioco i vostri marchi con il marketing emozionale.

Come funziona l’emotional branding?I 10 comandamenti di Gobé

Per comprendere la funzione dell’emotional branding, dovreste conoscere i 10 comandamenti dell’emotional branding di Marc Gobé in cui l’autore dimostra che un emotional branding riuscito permette a un marchio non solo di vendere prodotti agli utenti, ma soprattutto esperienze ed emozioni.

  1. Da consumatori a individui: i clienti devono avere la percezione di essere considerati e rispettati da un marchio non in quanto consumatori, ma in qualità di individui.
  2. Dal prodotto all'esperienza: i prodotti non devono soddisfare soltanto bisogni, ma anche desideri e speranze e diventare un evento nella vita dei clienti.
  3. Dall'onestà all'affidabilità: per i clienti l’onestà di un marchio è un fattore scontato, mentre l'affidabilità e la simpatia di un marchio alimentano la fidelizzazione del cliente.
  4. Dalla qualità alla preferenza: prodotti e marchi possono fare affidamento sulla propria qualità fin quando il prodotto sarà idoneo allo stile di vita dei clienti. Le preferenze dei clienti sono quelle che stabiliscono le marche predilette, ma le preferenze possono anche cambiare. Perciò i marchi dovrebbero conoscere sempre le preferenze dei propri target per continuare a essere preferiti.
  5. Dalla notorietà all'aspirazione: essere un marchio noto è cosa buona, ma la notorietà non tocca le emozioni. I marchi che danno ai clienti l’impressione di dare valore alla propria vita costruiscono rapporti emotivi basati sulle aspirazioni e sulle esigenze. Pensate ad Apple, Tesla e Gucci che per i propri clienti non rappresentano solo una parte del loro stile di vita, ma della loro personalità.
  6. Dall'identità alla personalità: esistono molti marchi con un carattere di riconoscimento, ma un’identità di marchio non comporta automaticamente carattere e carisma. Per le persone i marchi devono avere valori etici e morali. Devono adattarsi con flessibilità alle sfide e allo stile di vita dei clienti senza rinunciare alla loro consistenza di brand.
  7. Dalla funzionalità alla sensorialità: i prodotti non devono soltanto rappresentare soluzioni pratiche per le esigenze, ma anche incarnare esperienze emotive e parlare sul piano estetico ai sensi dei clienti. Il miglior esempio sono gli smartphone che si trasformano, evolvendosi da modelli tozzi a eleganti, lisci e stilosi.
  8. Dall'ubiquità alla presenza: non basta avere la migliore visibilità del mondo. Per un marchio è più importante essere presente nei luoghi e nei media frequentati dai target desiderati.
  9. Dalla comunicazione al dialogo: pubblicizzare le preferenze e gli utenti di un marchio rappresenta un tipo di comunicazione a senso unico e non costruisce un rapporto con i clienti. Un dialogo tra marchio e clienti fondato sull’interattività, i riscontri, la riprova sociale e l'accessibilità porta invece alla fidelizzazione.
  10. Dal servizio alla relazione: un marchio che vuole vendere esclusivamente prodotti e servizi non costruisce un rapporto. È prima di tutto l’inserimento di preferenze culturali della clientela che porta alla fidelizzazione del cliente. Critiche o proposte di miglioramento da parte del cliente, che confluiscono realmente nel marchio e prodotto, danno ai clienti l’impressione di essere parte attiva del marchio e non soltanto di pagare per qualcosa.

Retorica dell’emotional branding

L’emotional branding funziona al meglio se si orienta ai tre pilastri della retorica, descritti dal filosofo greco Aristotele come ethos, pathos e logos.

Ethos

Nell’emotional branding l’ethos indica la comunicazione della credibilità e del carattere morale. I marchi che non solo convincono per la qualità dei propri prodotti ma danno anche l’impressione di supportare valori etici e morali, guadagnano la fiducia del cliente. L’ethos di un marchio può essere rafforzato dall’impegno politico, dalla trasparenza della politica aziendale, dall'affidabilità, dall'eguaglianza nelle condizioni lavorative, dalla soddisfazione dei clienti e dalla sostenibilità ambientale e comunicano attraverso riscontri visibili in forma di testimonianze e social proof.

Pathos

Il pathos attira l'attenzione dei clienti attraverso emozioni ed esigenze mirate. Tra queste troviamo il senso di urgenza all'acquisto, la paura di perdere qualcosa, il cosiddetto Fear of missing out (Fomo), e un senso di appartenenza e sicurezza. Con l’uso di un determinato vocabolario visivo e musicale, un marchio può suscitare già alla prima impressione emozioni forti come stupore, curiosità, amore, paura, speranza e sicurezza e costruire un rapporto diretto. Le emozioni stabiliscono il 95 percento di tutte le decisioni d'acquisto e perciò il pathos è uno dei punti più importanti dell’emotional branding.

Logos

Il logos è responsabile degli aspetti logistici e statistici del marketing e ha l’obiettivo di rafforzare il legame emotivo dei clienti attraverso argomenti convincenti e razionali. Dopo aver aumentato la ricettività attraverso le emozioni e aver risvegliato l’interesse, un prodotto deve essere comunque in grado di convincere per la qualità e le prestazioni.

Esempi di emotional branding

Non esistono limiti alle possibilità di applicazione dell’emotional branding. È prima di tutto fondamentale porsi due domande: quale target volete raggiungere e quali emozioni volete risvegliare e collegare al vostro marchio?

Un esperimento di Facebook con la Cornell University e l’università della California ha mostrato le possibili conseguenze di una manipolazione emotiva mirata. Nel corso dello studio, a 689.000 utenti di Facebook è stato filtrato il contenuto del news feed mostrando post prevalentemente negativi o positivi pubblicati dagli amici. Gli utenti non sapevano di essere parte di un esperimento, ma nel loro comportamento online hanno mostrato la tendenza a condividere o postare contributi prevalentemente positivi o negativi in base alle emozioni a cui venivano sottoposti. Questo fenomeno prende il nome di “emotional contagion”, un contagio di emozioni.

Oggi risulta infatti difficile muoversi in un contesto brandizzato senza esporsi a emozioni forzate. Per questo motivo diventa ancora più importante riuscire a sorprendere e colpire i clienti nel loro quotidiano già sovraccarico di stimoli. La modalità con cui portate avanti le vostre campagne di marketing non conta, può essere attraverso medium classici come film, TV, radio, eventi sportivi e musicali o tramite i social media, ad sponsorizzati e testimonial: il brand building può funzionare sia in modo simmetrico che asimmetrico e deve osare con gli esperimenti.

Con l’aiuto dei seguenti esempi di emotional branding vedrete gli aspetti rilevanti per il brand building:

Psicologia cromatica

Affermazioni come “Il rosso è passione” o “Il giallo è allegria” senza contesto sono praticamente insignificanti. I colori sono prima di tutto segnali dell’inconscio e servono in primis a rafforzare l’intensità delle sensazioni e delle emozioni. Il giallo può essere sia sinonimo di gioia sia di malattia, il rosso di passione ma anche di rabbia. I colori supportano l'efficacia emotiva del vostro marchio se realizzate il vostro logo con l’aiuto della psicologia cromatica o associate il vostro marchio con uno spettro cromatico e una palette di colori.

Un noto esempio di psicologia cromatica nell’emotional branding è fornito dall’organizzazione no-profit One Campaign con il marchio registrato (Product)Red nell'anno 2006. Aziende come Apple, Coca-Cola, Nike e American Express hanno offerto il loro sostegno alla Red-Campaign nella lotta contro l’HIV/AIDS in Africa inserendo nei loro prodotti disponibili nelle tonalità di rosso il marchio (Product)Red. Il 50 percento delle entrate è stato devoluto come donazione al Fondo globale e alle organizzazioni di beneficenza coinvolte.

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Customer engagement

L’interazione attiva con i clienti di un marchio non ne aumenta solo l’attenzione e la portata, ma ne intensifica il legame emotivo. Un marchio non rappresenta soltanto un oggetto di consumo o uno sfondo, ma diventa una parte dello stile di vita, con cui compensare l’identità dei clienti e divenire parte della vita sociale.

La Coca-Cola, ad esempio, ha incrementato il coinvolgimento dei suoi clienti con la campagna Share a Coke. Invece del tradizionale logo della Coca-Cola, le etichette personalizzate sulle bottiglie mostravano i nomi più diffusi in diverse nazioni. In questo modo la Coca-Cola ha spinto i clienti a condividere sui social media foto con le proprie bottiglie personalizzate, incrementando le entrate mondiali e l’influenza del marchio sui social media.

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Customer loyalty

Un marchio deve prima di tutto guadagnarsi la fidelizzazione dei clienti (“customer loyalty”). La fidelizzazione dei clienti nasce prima di tutto sul piano dei sentimenti. Chi associa un marchio con esperienze e eventi positivi, continuerà a sentirsi coinvolto.

Starbucks ha colpito al cuore il proprio target nel vero senso della parola quando nel 2015, in collaborazione con l'app di dating Match, ha avviato la campagna “Meet at Starbucks”. Tramite l'app, gli utenti di Match potevano fissare il primo appuntamento direttamente da Starbucks. La campagna mirava ai rapporti emotivi tra le persone ed è riuscita a rafforzare a livello inconscio il rapporto con il marchio Starbucks. Da allora gli eventi speciali per San Valentino fanno parte dei repertori più amati e di successo di Starbucks.

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Ideali e valori

I marchi non dovrebbero tirarsi indietro davanti a dichiarazioni politiche e di attualità. In particolare nell'epoca dei social media, i clienti vogliono potersi fidare non solo della qualità, ma anche degli ideali e dei valori di un marchio. Fattori come il commercio equo, i diritti umani, condizioni di produzione adeguate e tutela dell'ambiente svolgono un ruolo fondamentale nell’immagine di un marchio. I marchi possono mettere al centro del proprio emotional branding il loro sostegno al veganesimo, all’inclusione e alla produzione equa. Perché i clienti che hanno l’impressione di contribuire alla visione di un mondo migliore attraverso un marchio, poi restano fedeli.

Oatly, produttore di bevande di avena alternative al latte vaccino, colloca sempre il suo prodotto nel contesto della protezione ambientale.

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Flessibilità e rilevanza

È importante preservare la riconoscibilità di un marchio e allo stesso tempo andare di pari passo con i tempi. Il primo esempio a riguardo è Apple. Agli esordi Apple aveva un design molto tozzo con computer come Apple II o il primo home computer Macintosh e il Macintosh Portable, ma poi ha cambiato lo stile con il colorato assortimento iMac nel 1998, lo stiloso iPod nel 2001 e il primo iPhone nel 2007.

La storia aziendale della Apple è caratterizzata da punti di svolta nel design del prodotto e nel marketing, come la leggendaria pubblicità del Macintosh “1984” o la campagna iPod con gli U2. Il marketing della Apple mira direttamente ai bisogni, ai requisiti estetici e ai desideri dei clienti. Perché chi acquista un prodotto Apple non guarda al prezzo, ma al logo Apple.

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Apple è riuscita a diventare un fenomeno culturale e artistico, che attraverso nuove tecnologie e strategie di emotional branding si è fatto strada nelle case, nelle orecchie, nelle tasche e in ogni angolo della vita sociale. Il successo del marchio Apple evidenzia l’importanza della flessibilità e della versatilità di un marchio, in grado di adattarsi alle esigenze delle nuove generazioni preservando comunque la continuità e rilevanza in quanto marchio.

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Priorità al cliente

Il legame emotivo tra marchio e clienti nasce soprattutto quando questi ultimi hanno l’impressione di essere in primo piano. Le modifiche inattese nel design, nel prezzo o nell’offerta senza prendere in considerazione le richieste del cliente vengono percepite da quest’ultimo come delle offese.

Basti pensare al feedback dei clienti quando nel 2017 la Ferrero decise di cambiare la ricetta della Nutella rischiando di perdere la fiducia del proprio target. Il cambiamento non fu comunicato in tempo e le motivazioni non furono mai rese note; questo indebolì notevolmente la fiducia dei clienti. Un episodio simile si è verificato con le barrette di cioccolato della Toblerone: nel 2016 il produttore Mondelēz International decise di immettere sul mercato britannico una barretta più corta con maggiore distanza tra i blocchi. I clienti ebbero la percezione di ricevere meno allo stesso prezzo e ci furono così tante proteste che Mondelēz decise di ritirare i nuovi prodotti.

La priorità e la comunicazione al cliente sono una componente fondamentale per non perderne la fiducia. In un esempio di grande attualità, durante la pandemia di COVID-19, l'azienda di trasporto automobilistico Uber ha dimostrato di dare priorità ai propri clienti in Gran Bretagna quando ha deciso di offrire corse gratuite e consegne alimentari per il personale sanitario, gli anziani e altri gruppi colpiti della popolazione.

Emotional storytelling

Le storie ci influenzano 22 volte più in fretta rispetto ai semplici fatti. Quando ascoltiamo una storia, l'attività del nostro cervello incrementa. Importante è però che le storie siano capaci di innescare sentimenti e ispirazione.

IKEA riesce sempre a sorprendere con il proprio storytelling originale di contenuti B2C. Slogan come “Siamo fatti per cambiare” sono entrati nell’uso quotidiano di un’intera generazione. L’emotional branding IKEA si è sviluppato attraverso uno storytelling originale e brevi spot pubblicitari carichi di battute ed empatia sono diventati un tratto distintivo di IKEA. Chi potrebbe mai dimenticare la pubblicità natalizia sui vicini di casa che festeggiano insieme il Natale o tutti gli spot brevi dalla vita quotidiana?

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Che cosa ci riserva il futuro dell’emotional branding?

L’emotional branding presenta molti vantaggi per il vostro marchio. Potrete attirare l'attenzione e invogliare all'acquisto. I vostri clienti svilupperanno un legame emotivo con il marchio, costruendo fiducia e restando fedeli. Il vostro marchio aumenterà di portata prendendo posto nella vita dei clienti.

Se inserito correttamente, un marchio può seguire le orme di Apple e diventare più importante del prodotto in sé. La digitalizzazione in aumento, i dispositivi indossabili, il 5G e l’influenza dei Big Data sul mercato offrono tante altre nuove possibilità all’emotional branding. Naomi Klein, autrice e oppositrice del branding, nel suo bestseller “No logo” mette in guardia sull’onnipresenza e sul monopolio dei marchi come McDonald’s, Coca-Cola, Apple e Microsoft. Già nel 2009 aveva anticipato un mondo influenzato e plasmato dai marchi, proprio come quello in cui viviamo oggi.

In questi anni i marchi si sono evoluti diventando delle vere forze politiche influenzando in modo notevole l’immagine dell’uomo e la vita sociale. Lo sviluppo di Amazon rappresenta un esempio perfetto a riguardo: alle origini non era niente di più di un supermercato e libreria digitale e si è trasformato diventando non solo un’azienda, ma anche marchio di produzione cinematografica, editore di self-publishing (Amazon Publishing) e agenzia di voli nello spazio Blue Origin che pianifica viaggi sulla luna.

Un percorso simile è quello della Tesla e della SpaceX di Elon Musk. Musk non solo diventerà probabilmente la prima agenzia spaziale privata ad affrontare l'atterraggio su Marte, ma invierà astronauti sul pianeta rosso con veicoli di Tesla. Più emotional branding con visione ed emozione di così forse non si può.

Marchi come Facebook e Google, invece, sono sempre più criticati per le preoccupazioni in merito alla protezione dei dati e alle influenze politiche del neuromarketing e della vendita dei dati.

Perciò, in previsione di un potenziale potere di un marchio, è ancora più importante non far perdere di vista ai clienti l’idea di essere protagonisti del proprio marchio attraverso un emotional branding guidato da emozioni e valori. Perché un marchio non deve essere così grande da essere presente in ogni città. Deve essere solo abbastanza seducente e simpatico da conquistare un posto nel cuore dei propri clienti.

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