Il marketing che fa leva solamente su preferenze decifrabili, novità o il prezzo più conveniente di un marchio rispetto un altro, ignora il funzionamento del nostro cervello. I messaggi pubblicitari risultano particolarmente efficaci quando il prodotto o marchio è emotivamente carico. Tuttavia, non è sufficiente che i clienti spengano il proprio cervello e che decidano, come si suole dire, di pancia. Il marketing emozionale deve infatti riuscire a far risultare un marchio molto più simpatico e affidabile puntando sulle emozioni.
Le elezioni politiche rappresentano in questo senso un ottimo esempio. Un programma elettorale basato su idee razionali non è in grado di conquistare gli elettori. Pertanto, invece di utilizzare argomentazioni pratiche, i manifesti elettorali cercano di convincere l’elettorato con slogan semplici, elementi che attirano l’attenzione o parole dall’effetto scatenante (parole trigger).
Questa strategia punta sulla paura, sulla rabbia e sulle speranze degli elettori, manipolando la scelta di voto degli stessi agendo su un piano emotivo.
Lo slogan elettorale di Donald Trump “Make America Great Again!” delle politiche del 2016 o la campagna “Yes, we can!” del suo predecessore Barack Obama sono esempi recenti della forza del marketing emozionale. Rispetto a obiettivi politici concreti, si è scelto di puntare su messaggi generici che parlano alle emozioni dell'elettorato, ottenendo migliori risultati di quanto non si riesca a fare con argomentazioni razionali.
Nonostante gli slogan di Obama e Trump siano esempi calzanti di marketing emozionale, da soli non sono sufficientemente incisivi e non rappresentano di per sé una strategia di marketing. Una buona strategia consta infatti di argomentazioni razionali e, in combinazione, punta a scatenare determinate emozioni. Per trovare il giusto equilibrio e connettere emotivamente i clienti ad un messaggio aziendale o un motto, ci sono vari mezzi, metodi e strategie.