Co-branding: un’operazione di mercato con un valore aggiunto

Quando due o più marche note intraprendono la strada della cooperazione per definire un nuovo prodotto comune, si parla di co-branding. Prima di lavorare insieme, le aziende cooperanti si aspettano di aumentare il raggio d’azione, i profitti e migliorare la propria immagine. Qui di seguito vi presenteremo esempi di co-branding e vi spiegheremo a cosa prestare attenzione durante una campagna di co-branding.

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Che cos’è il co-branding? Definizione, caratteristiche, limiti

Il co-branding, definibile anche in italiano come una cooperazione tra marchi, definisce una collaborazione temporanea tra più marche (brands), per la maggior parte delle volte comunque solo due, per immettere sul mercato un prodotto comune. Le marche coinvolte sono già note e chiaramente riconoscibili nella campagna comune, lasciando così invariata la rispettiva identità di marca. Oltre ad aumentare le vendite, i partner commerciali si aspettano anche di ampliare il raggio d’azione e di ottenere una percezione più positiva nel target a cui si punta.

In teoria, in una campagna di co-branding possono essere coinvolti anche più di due partner commerciali, ma nel passato abbiamo comunque visto che la classica collaborazione tra due marche resta sicuramente il metodo più apprezzato. La maggior parte delle volte una campagna di co-branding non è un legame a vita ma limitata a un lasso temporale preciso.

Il termine co-branding si distingue, anche se spesso si confonde o è utilizzato in modo errato come sinonimo di altri termini:

  • Il Corporate branding si riferisce all’immissione sul mercato di un’azienda in qualità di marca e non di marchi di prodotti o servizi. Per esempio, Google è una marca controllata dalla holding Alphabet e la Coca Cola (Coke) appartiene alla Coca-Cola Company, famosa in tutto il mondo.
  • Co-marketing o partnering commerciale: qui due o più imprese lavorano insieme, ma le operazioni comuni si limitano ad attività di marketing e non riguardano un prodotto comune. La maggior parte delle volte il co-branding è confuso con il co-marketing.
  • Cross-marketing o cross-media marketing: definisce l’immissione sul mercato di un prodotto su almeno tre diversi canali e in questa fase non ha nulla a che vedere con la collaborazione tra marchi. Naturalmente il cross-marketing, proprio come il brand marketing, può essere utilizzato anche per operazioni di co-marketing o co-branding.

Infine, il co-branding è una delle tante strategie di marketing in un marketing mix equilibrato.

Ragioni per intraprendere una strategia di co-branding

Attirare l’attenzione su di sé nel marasma di informazioni e media è la sfida per ogni brand. La collaborazione con un partner commerciale è un percorso interessante per aumentare l’attenzione sulla propria marca e approfittare idealmente dell’immagine positiva e del raggio d’azione del proprio partner. Inoltre, una Joint-venture di marche può avere un effetto pubblicitario preciso quando le marche e i prodotti coinvolti sperimentano una percezione del tutto nuova.

La sfida più grande delle marche nel campo pubblicitario resta comunque quella di rafforzare e incrementare la propria immagine. Fanno parte del branding

Oltre a queste misure orientate verso la sfera emotiva esistono anche strategie di marketing che si concentrano principalmente sulla competizione e sul limitare la concorrenza attraverso collaborazioni a scopo finanziario. Una di queste strategie è appunto il co-branding.

Perseguendo una corretta strategia di co-branding e applicandola in modo corretto, si può arrivare a far parte delle numerose campagne e pubblicità della concorrenza. Spesso si utilizzano metodi di emotional branding o emotional marketing oppure tecniche di Storytelling.

Qui sopra abbiamo menzionato brevemente un altro motivo per intraprendere una strategia di co-branding: il co-marketing. Quando due aziende creano e pubblicizzano insieme un nuovo prodotto tramite il co-branding, necessitano solitamente di un numero inferiore di risorse per quel che riguarda la produzione, il personale e anche il marketing. Un’operazione di co-branding ben studiata può aumentare non solo il raggio d’azione e il fatturato, ma anche ridurre i costi: una situazione che porta dei vantaggi da entrambe le parti. Questo vale non soltanto per i brand grandi e conosciuti in tutto il mondo, ma anche per le attività locali.

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Prima che i soggetti coinvolti confermino la probabile cooperazione, devono essere condotte analisi interne convincenti per quel che riguarda i vantaggi sperati. Uno di questi vantaggi è chiaro: aumentare il target. Le aziende che partecipano sperano da un lato di raggiungere nuovi clienti e dall’altro di aumentare le entrate e il raggio d’azione attraverso la creazione di un nuovo prodotto o ampliando un prodotto già esistente.
Poiché rispetto al nuovo e maggiore target ciascuna azienda partecipante può contribuire con la sua esperienza e professionalità, si possono creare strade del tutto nuove per muoversi nello spettro più ampio del marketing, e favorire infine il successo dell’intera campagna.

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Vantaggi e svantaggi del co-branding

Vantaggi Svantaggi
Marketing comune: nuove possibilità di marketing, maggiore libertà d’azione, maggior raggio d’azione Se le marche si accordano, ma gli obiettivi aziendali sono troppo diversi tra loro, il co-branding non si rileva efficace
Raggiunge nuovi target che probabilmente non conoscevano la marca prima d’ora Se le marche o i prodotti non sono compatibili tra loro o sono apprezzati da target differenti, la campagna non funziona
Aumento del budget grazie alla collaborazione Maggiori sforzi di coordinazione per le aziende coinvolte
Entrate potenzialmente maggiori Un fallimento del prodotto danneggerà entrambi
Costi ribassati grazie alla condivisione delle risorse Una delle marche coinvolte non aumenta il proprio valore, passa in secondo piano o finisce per non avere completamente più importanza
L’immagine positiva di una può trasmettersi all’altra Un’eventuale immagine negativa precedente o successiva di una si trasmette anche all’altra (per esempio: PR poco efficaci, scandali, prezzi azionari precari)
Le marche dividono anche i rischi Possibili danni all’immagine senza colpa

Applicazioni ed esempi di co-branding

Esistono diverse possibilità di realizzare una cooperazione tra marchi. In linea di massima si distinguono quattro modalità di co-branding degne di nota, che si differenziano in parte anche con altre modalità di attuazione.

Ingredient co-branding

Il co-branding di ingrediente è probabilmente la forma di applicazione più nota di cooperazione tra marchi. In questo caso i prodotti di altre aziende sono un ingrediente (in inglese: “ingredient”) o una componente del proprio prodotto (finale). Spesso, nel caso del co-branding di ingrediente, si parla anche di “marca nella marca” perché i prodotti di una marca si trovano solo come componente fissa di prodotti di un’altra marca.

Un esempio al riguardo è la padella Teflon: lo speciale materiale di rivestimento si trova difficilmente in casa senza una relativa padella. Eppure, “Teflon” è una marca a sé (appartenente al gruppo chimico DuPont) e indipendente dal produttore di padelle. Lo stesso materiale è conosciuto come membrana per tessili, ad esempio con il marchio “Gore-Tex”.

Per i clienti, i prodotti immessi sul mercato attraverso il co-branding di ingrediente sono la stessa cosa. Per fare un esempio pratico, conosciamo gli adesivi “Intel Inside” sui notebook o la scritta Gore-Tex sui capi di diverse marche. Spesso troviamo anche il cambio Shimano come componente fisso delle biciclette.

Il co-branding di ingrediente è una forma molto intensa di co-branding poiché tutti i partecipanti della collaborazione devono essere costantemente attenti e accertarsi che gli altri partner soddisfino sempre le esigenze e rispettino gli standard di qualità. In caso contrario è preferibile non adottarla.

Relativamente semplice da applicare è quasi sempre con gli alimenti più amati: ad esempio, la catena di fast-food McDonald’s offre da anni per il suo marchio di gelato McFlurry diversi topping provenienti da altri marchi di dolciumi apprezzati.

In linea di massima, già un tipo di cross selling rappresenta un co-branding di ingrediente all’interno di un’azienda o di un gruppo. Un esempio evidente è rappresentato dai prodotti dell’azienda alimentare Mondelēz International che mette insieme due marche, mescolando il cioccolato al latte con i biscotti Oreo o il formaggio fresco Philadelphia con il cioccolato al latte. In linea di principio non si crea nessun nuovo prodotto come per il co-branding innovativo, perché il prodotto di una marca rappresenta la base e viene completato dall’altro.

Composite co-branding

Il composite co-branding si può chiamare anche “Co-branding basato sul valore”. Il principio è simile al co-branding di ingrediente, ma si differenzia per alcuni dettagli. Invece di combinare due prodotti in un nuovo prodotto, qui si tratta piuttosto di fondare una partnership con l’obiettivo di creare nuovi prodotti e prestazioni che non potrebbero esistere altrimenti.

L’esempio perfetto per questo tipo di co-branding è rappresentato dai fornitori di carte di credito, in grado di offrire particolari offerte ai propri clienti grazie ai partner commerciali. Chi possiede carte di credito di una banca precisa, può approfittare regolarmente di nuove offerte valide in diversi portali di shopping, alberghi o agenzie di viaggio.

Diversamente dal co-branding di ingrediente, qui questa collaborazione non è logica ma volontaria. Inoltre, il prodotto o il servizio esiste esclusivamente grazie a questa cooperazione, altrimenti l’offerta non funzionerebbe.

Troviamo un paio di esempi allettanti di composite co-branding nel product design: il produttore italiano di elettrodomestici SMEG collabora con successo da anni con la casa di alta moda Dolce & Gabbana: i designer di D&G avevano realizzato originariamente per SMEG un frigorifero dipinto a mano che aveva suscitato notevole interesse e può essere annoverato sul piano pratico come esempio di marketing virale. Nel frattempo esistono diverse linee di prodotti di SMEG con il design di D&G, per esempio mixer e planetarie.

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Un esempio simile è rappresentato dalle campagne regolari di co-branding di H&M con stilisti di alta moda come Karl Lagerfeld, Stella McCartney e Versace. Chi ama l’alta moda, non comprerebbe i vestiti da H&M. Ma grazie a questa collaborazione H&M si arricchisce con l’eleganza dei grandi marchi di alta moda e il tipico target di H&M (composto per la maggioranza da giovani) può sviluppare un gusto contemporaneo potendosi permettere dei vestiti più cari.

Sono conosciuti anche i modelli speciali di automobili VW realizzati con gruppi del calibro di Bon Jovi, Genesis o Pink Floyd. Un principio simile è anche quello delle scarpe sportive decorate con elementi dei Pokémon, prodotte da molti dei più grandi marchi di abbigliamento.

Co-branding basato sull’innovazione

Nel Co-branding basato sull’innovazione, la condivisione di marchi permette di realizzare un nuovo prodotto o un nuovo servizio. La motivazione resta la stessa: rafforzare il rispettivo marchio, ampliare il raggio d’azione e aumentare le entrate. I costi per un co-branding basato sull’innovazione possono essere decisamente più elevati rispetto alle altre forme, in quanto il nuovo prodotto deve essere sviluppato ex novo.

Un ottimo esempio di co-branding basato sull’innovazione è la cooperazione tra il colosso della tecnologia Apple e il gigante di articoli sportivi Nike. Negli anni 2000 entrambi hanno sviluppato uno speciale sensore di movimento per le scarpe da corsa Nike + iPod, che fondamentalmente è stato uno dei primi fitness tracker. Sull’iPod venivano raccolti e valutati i dati e preparati programmi di allenamento. Oggi gli smartwatch possono svolgere questa funzione senza alcun sensore nella scarpa, ma Apple e Nike continuano a cooperare in forma di composite co-branding, ad esempio con le app di Nike o i cinturini di Nike per gli Apple Watch.

Co-branding tra diversi settori e sponsorizzazione

Il co-branding tra marchi di diversi settori può avere più o meno senso per i mercati e/o i potenziali clienti, perché i singoli prodotti sono diversi. Esistono abbastanza esempi di successo, tra cui la collaborazione tra Louis Vuitton (la marca fa parte della multinazionale francese LVHM) e la marca automobilistica tedesca BMW. Per presentare il nuovo modello BMW i8 alla fiera automobilistica di Francoforte del 2013, Louis Vuitton ha realizzato una collezione di bagagli di lusso.

In questo esempio vediamo che la condivisione di marchi non si mostra nello stesso prodotto, ma in una presentazione concordata per ottenere un risultato preciso.

Una forma molto tipica di co-branding tra diversi settori riguarda la collaborazione con figure di spicco e personaggi famosi. Per la maggior parte delle volte l’obiettivo è di attirare l’attenzione su un prodotto particolare. Di solito chi ne trae maggiore profitto sono i titolari dei marchi delle figure e delle personalità famose. Spesso questa collaborazione si realizza anche con una classica sponsorizzazione. Questo minimizza il rischio di danni all’immagine per il partner pubblicitario qualora il prodotto o l’azienda produttrice ricevano successivamente un’immagine negativa.

Un esempio è la collaborazione tra il pluricampione mondiale Lionel Messi e la marca di patatine Lay’s (PepsiCo): è possibile vedere Messi sui pacchetti di patatine, e sul sito creato appositamente i fan possono richiedere un messaggio personalizzato del campione. Il fondamento di questa collaborazione è lanciare il messaggio che quando si guarda il calcio a casa si mangiano spesso patatine e altri snack simili. Che le patatine non siano per niente un alimento salutare, invece, non sembra danneggiare l’immagine del campione. Lay’s è riuscita a sfruttare l’immagine sportiva prominente del suo partner pubblicitario.

Il co-branding e la sponsorizzazione possono anche danneggiare l’immagine di un personaggio famoso. Per un lungo periodo la federazione calcistica tedesca (DFB) ha collaborato con la multinazionale specializzata in prodotti dolciari Ferrero. C’erano degli spot pubblicitari in cui si vedevano i giocatori della nazionale maschile mangiare a colazione la crema spalmabile Nutella. Fu criticato non solo il fatto che Ferrero pubblicizzava i dolciumi come se fossero un alimento sportivo. Ma quando qualcuno dei giocatori usciva dalla squadra, cominciarono a girare queste battutine maliziose sui “Nutella Boys” che portarono alla “fuga da Nutella”.

Quando si lavora con personalità famose, oggi si parla anche di influencer marketing. Campagne di questo tipo funzionano anche come content marketing, ad esempio con contributo di personaggi noti su YouTube, blog o riviste.

A cosa bisogna fare attenzione durante una campagna di co-branding?

Presupposti di base

Per permettere a una campagna di co-branding di essere recepita come tale dai clienti, è necessario che le marche coinvolte dimostrino di avere una forza precisa. Questo vuol dire che fino al momento della collaborazione entrambe hanno lavorato in piena autonomia e sono già riconoscibili sul mercato e anche dopo il possibile momento della fine della cooperazione le marche possono continuare a lavorare in autonomia.

Le strategie di co-branding non sono adatte a perseguire guadagni rapidi nel tempo. Un co-branding di successo si basa su una cooperazione a lungo termine, anche se di solito non è limitata a un intervallo temporale preciso. Sono coinvolte almeno due marche che hanno l’obiettivo di offrire una prestazione comune che sia unitaria sul piano fisico. Alla fine, bisogna aver raggiunto obiettivi stabiliti insieme in precedenza.

Le fasi di organizzazione, produzione e marketing devono essere stabilite precisamente tra le aziende coinvolte. Bisogna riflettere anche se gli spazi di manovra possono essere limitati alla propria politica di mercato. Anche eventuali modifiche nella proprietà delle marche partner potrebbero ripercuotersi sulla campagna di co-branding.

Scelta dei partner e del prodotto

Per il successo della strategia di co-branding non è decisivo scegliere un partner della stessa multinazionale, dello stesso settore o di un settore completamente diverso. I seguenti aspetti sono invece più importanti:

  • Forza del marchio: il partner, ossia la sua marca, hanno le stesse dimensioni e fama, nonché notorietà ed esperienza.
  • Complementarità: entrambe le marche hanno dei punti in comune e si compensano bene nelle loro differenze. Si differenziano fino a un certo punto anche per quel che riguarda i target.
  • Brand fit: le marche coinvolte sono ben compatibili tra loro. Anche le filosofie aziendali svolgono un ruolo importante per questo punto.
  • Product market fit: il nuovo prodotto è simile a un prodotto precedente e i target conoscono bene le marche coinvolte.

Comunicazione trasparente

Se i partner hanno deciso di collaborare, è indispensabile comunicare di questa cooperazione in modo preciso per tutti i prodotti coinvolti e mostrare così trasparenza nei confronti del cliente. Dal punto di vista legale, bisogna ancora sottolineare che la collaborazione deve essere considerata da tutti i partecipanti delle varie parti.

Pianificare i rischi dal principio

Indipendentemente dalle eventuali previsioni di successo di una campagna di co-branding, nella fase di pianificazione bisogna tenere in considerazione che: il contratto di cooperazione deve coprire sempre anche il caso peggiore che potrebbe verificarsi. Questo potrebbe essere un flop totale del prodotto o un improvviso scandalo all’immagine di un partner.

La reputazione delle marche in una campagna di co-branding si influenza reciprocamente quando la collaborazione riesce a incrementare la popolarità delle marche, un eventuale shitstorm contro una marca potrebbe avere un impatto negativo anche su quella non coinvolta direttamente.

Anche le stesse misure di marketing pianificate possono nascondere dei rischi, ad esempio quando una campagna prevede forme di guerilla marketing. È dunque di fondamentale importanza che le misure scelte vadano bene a tutte le marche coinvolte.

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